
Da almeno un quarto di secolo (da quando Fabio Fazio, nel 1999, portò all’Ariston come co-presentatore il premio Nobel per la medicina Dulbecco, e invitò Gorbaciov) Sanremo non è più una “rassegna di canzonette”, come buffamente si sente dire in questi giorni da quanti recriminano sull’annunciato collegamento con Zelensky. È un format forse unico al mondo, smisurato e follemente deforme (format deforme…), nel quale, in circa trenta ore di diretta, più l’indotto che tracima su tutte le reti Rai e non Rai, confluiscono quasi tutti gli ingredienti mediatici disponibili, meglio se emotivamente coinvolgenti, perché si sa quanto l’entertainment punti sulle emozioni.
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