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Un miliardo per l’ex Ilva. Ma il governo prepara la scalata all’acciaieria. I sindacati: sciopero di 32 ore

ROMA – C’è ancora una scialuppa di salvataggio per la ex Ilva: ha la forma del decreto legge, il decimo dall’uscita dei Riva dall’azionariato dell’azienda. Nella scialuppa, il Consiglio dei ministri di ieri sistema altri 680 milioni di euro (cui se ne potranno aggiungere 320).

Stavolta, però, il premier Giorgia Meloni e il ministro Adolfo Urso tentano di non buttare questi soldi — un miliardo in tutto — nel buco nero delle inefficienze della ex Ilva (ora Acciaierie d’Italia).

Non è un prestito-ponte

I primi 680 milioni finanziano i due attuali soci, è vero: gli indiani di ArcelorMittal (che hanno il 62% del capitale) e Invitalia (società pubblica, che ha il 38%). Ma questi soldi non sono un semplice prestito-ponte, né un regalo a fondo perduto, anzi.

Sono «convertibili in un futuro aumento di capitale». Il governo, dunque, tenta di guardare già al 2024 quando il socio pubblico (Invitalia) potrà prendere il timone della ex Ilva, scalzando ArcelorMittal. In quel momento, Invitalia diventerebbe primo azionista, con il 60% delle azioni, proprio grazie a un aumento di capitale.

In quel momento, nel 2024, i 680 milioni di oggi riemergeranno per finanziare — almeno in parte — l’aumento di capitale necessario. In Consiglio dei ministri, dunque, prende corpo la soluzione che la Stampa ha delineato ieri.

Acciaierie d'Italia a Taranto
Acciaierie d’Italia a Taranto 

L’amministrazione straordinaria

Il governo non si fida più di ArcelorMittal. Per questo motivo, il decreto assegna a Invitalia (socio pubblico, oggi in minoranza) il potere di accendere il semaforo rosso. In qualsiasi momento, già nei prossimi mesi, Invitalia potrà chiedere che la ex Ilva passi in amministrazione straordinaria. L’altolà arriverà nel caso la gestione della fabbrica si confermi inadeguata.

Sempre il governo mette in conto che la sempre più zoppicante acciaieria possa incamminarsi verso il baratro. In futuro, la magistratura potrebbe infliggere all’azienda una “sanzione interdittiva” che comporta — in alcuni casi — il completo blocco delle attività produttive.

La produzione strategica

In questo scenario, lo Stato accuserebbe un doppio danno: la perdita di una produzione strategica come è l’acciaio; e di migliaia di posti di lavoro, nella fabbrica e nell’indotto. Di fronte a un simile duplice disastro — ecco la novità — il giudice è autorizzato a tenere in vita la fabbrica, affidandone le sorti a un commissario.

E se l’azienda sarà pronta ad adottare modelli produttivi virtuosi, il giudice non potrà più decidere “sanzioni interdittive”. L’ex Ilva incarna, d’altra parte, un’attività di «interesse strategico nazionale».

La non punibilità

In nome dell’interesse strategico nazionale, il governo stende anche uno scudo penale. I soggetti che si faranno carico di mandare avanti l’attività produttiva della ex Ilva — utilizzando anche beni che la magistratura ha sequestrato — beneficeranno di una condizione di «non punibilità».

Nell’immediato, la ex Ilva si impegna a obiettivi di produzione e di impiego della forza lavoro «superiori a quelli conseguiti nell’ultimo biennio».

Fermi dal 10 gennaio

I sindacati non prendono bene il provvedimento del governo. Le segreterie territoriali di Fiom, Uilm e Usb di Taranto, unitamente alle Rappresentanze sindacali unitarie di Acciaierie d’Italia, confermano la mobilitazione a Roma dell’11 gennaio con gli enti locali.

Quindi annunciano uno sciopero di 32 ore (dalle 23 del 10 gennaio alle 7 del 12 gennaio) contro il decreto.  Decreto che conferma, sottolineano i sindacati, “la volontà di erogare i 680 milioni, già stanziati, in modalità finanziamento soci, ripristinando vergognosamente perfino lo scudo penale ai gestori del sito“.

Fonte: news.google.com

Doroteo Cremonesi

Affascinato dal progresso, dalla tecnologia e dall'energia, amante delle automobili

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