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In questa dozzina di anni la geografia del calcio è cambiata, dopo l’assegnazione del Mondiale, nell’estate 2011, la Qatar Investment Authority ha acquisato il Paris Saint Germain, facendone il club più potente del mondo. Poi sono arrivati altri petrodollari per l’acquisto del Manchester United da parte di Abu Dhabi, il Newcastle saudita di Bin Salman. Non solo calcio: i Paesi arabi si sono tuffati nell’intrattenimento con investimenti importanti nella Disney e nella promozione di concerti internazionali.
Amnesty International si è mossa da tempo per chiedere che il rispetto dei diritti umani sia incluso nelle clausole d’acquisto dei club calcistici. Attualmente si contano 14 club tra i più forti in Europa e nel mondo che sono di proprietà di Emirati arabi.
Il petrolio arabo non ha ancora fatto affari con le squadre di serie A perché considera il calcio italiano instabile e caotico. Però l’Arabia Saudita avrebbe offerto due mesi fa, 138 milioni per ospitare per i prossimi otto anni, la Supercoppa italiana e un minitorneo. Intanto Emirates, l’ottava compagnia aerea del mondo, ha iniziato la sua scalata in Italia come sponsor del Milan, vicina al rinnovo fino al 2027 per 30 milioni di euro a stagione. Emirates sponsorizza vari club europei, tra cui Real Madrid, Arsenal, Benfica.
Innanzitutto diventare consapevoli del problema, non abbassare lo sguardo, come invita a fare Infantino, il massimo dirigente mondiale del calcio, ma alzarlo. Se provi ad alzare lo sguardo qualche “idea” ti viene di sicuro. Anche perchè a Doha, in quello stesso Paese, nel 2030 si terranno i Giochi asiatici e nel frattempo sono previsti una serie di eventi-vetrina internazionali, non solo sportivi. La combinazione tra calcio e petrolio ci spinge a non abbassare la guardia, a mettere insieme tutti i frammenti e a scegliere alcune idee guida per provare a leggere questa realtà complessa..
E allora che fare? Prendere atto e contestualizzare lo sportwashing, che riguarda tutti quei Paesi che cercano di rifarsi un look di rispettabilità utilizzando il principe degli intrattenitori, il calcio. E inquadrare il fenomeno Mondiale in Qatar per ció che è, un caso esemplare del ruolo del calcio come strumento di soft power e delle competizioni sportive globali come strumento di visibilità.
Ai giornalisti è affidato il compito di raccontare il campo e il fuori campo, di accendere i riflettori su uno spicchio di mondo che sfreccia verso il futuro conservando il Medioevo che fa comodo a chi lo comanda e ai suoi alleati. Per raccontare che i diritti sono diritti sempre e ovunque. In una nota inchiesta del Guardian si parla di 6.500 lavoratori morti dal 2010 in Qatar, anno di assegnazione dei Mondiali: decessi da collegare alla costruzione delle infrastrutture e degli impianti sportivi, una strage. Varie organizzazioni umanitarie, come Amnesty international e Human rights watch, hanno denunciato negli anni le precarie condizioni di sicurezza e di salute in cui si sono trovati a lavorare gli operai in Qatar.Ci sono poi le inchieste giornalistiche che accusano gli organizzatori di aver comprato migliaia di tifosi con biglietti e soggiorni gratuiti a patto che cantino, applaudano e sventolino le loro bandiere.
Se oggi Pier Paolo Pasolini decidesse di cercare i fili della macchinazione, forse sceglierebbe proprio il calcio, che conosceva ed amava. A suo tempo, per il suo ultimo romanzo-saggio, scelse il magma della finanza e dell’oro nero. Perché scelse i suoi oscuri e misteriosi burattinai? “Perché conoscono la grandezza sia dell’integrazione che del delitto, proprio come gli eroi di Balzac e di Dostoevskij”. Era “Petrolio”, rimasto incompiuto, un affresco di frammenti sul potere col quale, forse, firmò la sua condanna.
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Fonte: news.google.com
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