
La Germania, per la prima volta, ha avviato un’indagine sistematica sulle violenze sessuali nel mondo dello sport, dopo che da anni sono in corso inchieste simili su quelle avvenute nella Chiesa, in particolare quella cattolica. Il primo rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali sui minori nello sport, anticipato dalla Süddeutsche Zeitung, è un atto d’accusa senza appello contro l’indifferenza e inadeguatezza dello sport tedesco, incapace di garantire la sicurezza di bambine, bambini e adolescenti (ma viene da pensare che la Germania non sia un’eccezione). Il problema principale, secondo la Commissione, è l’esistenza di una serie di «zone cieche» che permettono e favoriscono gli abusi, che vanno dalla «mancanza di punti di contatto affidabili per le vittime; mancanza di consapevolezza all’interno dei club; mancanza di volontà nello sport, nella politica e nella società di riconoscere e affrontare il problema in modo completo» alla facilità di accesso degli aggressori (spesso allenatori e quasi esclusivamente uomini) alle loro vittime, alla «narrazione romantica di uno sport sano, leale e bello» che impedisce di vedere le violenze quando ci sono.
Una delle conclusioni più desolanti dello studio è che le violenze nelle organizzazioni sportive non emergono quasi mai, per le connivenze strutturali con gli stupratori che, soprattutto nelle piccole associazioni, sono quasi sempre legati a chi dovrebbe vigilare da rapporti di amicizia e fiducia. Le vittime sono spesso isolate, non sanno con chi confidarsi, pensano di avere degli obblighi di lealtà nei confronti dei loro aggressori (soprattutto se sono i loro allenatori) e delle istituzioni di cui fanno parte, e i responsabili delle organizzazioni non hanno nessun interesse ad affrontare le violenze. «La maggior parte delle persone colpite — la Süddeutsche — subisce regolarmente violenze sessuali, soprattutto negli sport organizzati. Le discipline variano, le più citate sono il calcio e la ginnastica. Molti si vergognano o addirittura pensano di essere colpevoli dei propri abusi. Inoltre, non vogliono danneggiare il loro club, che a volte è come una famiglia».
«L’atteggiamento spesso difensivo dei club ha portato a un notevole stress psicologico e spesso ha significato una ri-traumatizzazione» si legge nel rapporto della Commissione, che definisce «scioccanti non solo le esperienze individuali di violenza sessualizzata delle persone coinvolte, ma anche i processi di occultamento sistematico nelle strutture dello sport che sono stati descritti più volte». L’esperienza comune è che gli aggressori riescono quasi sempre a farla franca, mentre le vittime devono fare i conti per tutta la vita con le conseguenze delle violenze. «Le donne che hanno subito violenza sessualizzata da bambine spesso non riescono a rimanere incinte; alcune vittime hanno tentato il suicidio, molte sono diventate depresse e hanno sviluppato disturbi e sintomi psicosomatici. Spesso è difficile condurre una relazione e la vita professionale è spesso possibile solo in misura limitata» spiega la Süddeutsche.
La violenza sessuale è così endemica che quasi non la vediamo. La Germania — a differenza dell’Italia, dove non c’è stata una riflessione istituzionale su questi temi — sta cercando di far emergere le condizioni strutturali che la rendono possibile. Senza più darla per scontata. È un processo lungo e difficile, ma necessario se la si vuole prevenire. Come dimostrano le conseguenze descritte dalla Süddeutsche, la violenza, in particolare quella su bambine e adolescenti (che più comune rispetto a quella sui maschi) è ancora uno degli ostacoli maggiori allo sviluppo delle donne. Il fatto che sia così da secoli non è una buona ragione per pensare che debba continuare a esserlo.
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28 settembre 2022 (modifica il 28 settembre 2022 | 11:07)
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Fonte: 27esimaora.corriere.it