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Le parole e frasi dannose per la nostra salute mentale

Chi si ritrova spesso a ripetere «sono solo parole», forse non ha una chiara consapevolezza del potere e del ruolo della lingua nelle nostre vite. Potremmo anche “solo” citare il fatto che gran parte delle nostre relazioni sociali (legate in modo indissolubile alla nostra felicità, come vi abbiamo raccontato qui) vivono grazie alle parole che ci scriviamo e diciamo. Ma c’è di più: se non ve ne siete accorti, i nostri pensieri il più delle volte prendono forma in modo discorsivo, cioè come frasi. «Le parole sono in effetti profondamente interconnesse con i nostri concetti mentali […]. Possono anche contribuire a perfezionare e a modellare i nostri concetti», scrive Michael Corballis, professore emerito di psicologia all’Università di Auckland, nel suo La verità sul linguaggio (per quel che ne so) (Carocci). Anche per questi motivi le frasi che ci ripetiamo hanno un ruolo sul nostro benessere mentale. Il problema grosso è che il più delle volte sottovalutiamo questo aspetto e ci ritroviamo così incastrati in abitudini linguistiche con cui  ci autosabotiamo. Ci ripetiamo, insomma, inconsapevoli mantra negativi. E allora, quale miglior regalo per il nuovo anno della sostituzione di alcune abitudini linguistiche nocive con frasi positive per la nostra serenità? Noi abbiamo chiesto ad alcuni esperti di benessere e salute mentale di individuarne alcune particolarmente dannose e le trovate qui sotto. Però dobbiamo impegnarci: i regali di valore spesso costano impegno e denaro, quindi non guardiamo queste frasi per poi dimenticarcene fra un minuto, ma proviamo davvero a eliminarle dalla nostra quotidianità.

Non sono abbastanza

Quante volte ci siamo detti che non eravamo abbastanza per qualcosa (o per qualcuno)? Può capitare, soprattutto dopo un insuccesso, un errore o il mancato raggiungimento di un traguardo a cui tenevamo. «Questa frase è una trappola per la nostra psiche», commenta Luca Mazzucchelli, psicoterapeuta e autore di Fattore 1% (Giunti). «Se commetti un errore a causa del quale concludi che non sei abbastanza, accade che emetti un giudizio morale nei tuoi confronti. Ma il problema non sei tu; non sei tu che sei sbagliato. Ad essere sbagliata è la scelta delle azioni che hai deciso di mettere a terra per raggiungere quel determinato obiettivo». Può sembrare una differenza sottile, ma non è così, e (auto)giudizi negativi come questo sono molto corrosivi. Bene, ma visto che l’insuccesso di fatto c’è stato, come venirne fuori rimanendo obbiettivi? «Anziché ripeterti che non sei abbastanza, prova a dirti che non sai abbastanza. Un semplice cambio di parola ha il potere di attivare nella nostra mente un nuovo significato: se non sono abbastanza, game over; ma se non so abbastanza, posso andare alla ricerca di nuove informazioni per ottimizzare il mio comportamento e spingermi oltre rispetto a dove sono arrivato».

La lista dei to do 

Complice il fascino che la lingua inglese esercita spesso su di noi, si è diffusa in ambito professionale la lista dei to do, cioè le cose che dobbiamo fare. Ecco, anche qui possiamo virare verso formule e frasi positive, cambiare prospettiva e vedere nelle attività che ci attendono qualcosa di meno gravoso e di più volontario. Insomma, diminuire il senso di dovere che in alcuni frangenti può oberarci ulteriormente. E allora possiamo trasformare la lista dei to do in un elenco – sempre restando sulla lingua inglese – intitolato what I want to do.

Sono sommerso di lavoro

Questa davvero la ripetiamo all’infinito nella nostra quotidianità. Una frase che aggiunge peso a ritmi che talvolta mettono a dura prova la nostra tenuta fisica e mentale. «Trovare il giusto bilancio fra vita e lavoro può essere davvero complesso, soprattutto se partiamo già sconfitti. Lo stress, i tanti impegni, le scadenze possono farci perdere di vista gli altri aspetti della nostra vita che sono essenziali per il nostro benessere psicologico», spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Direttore Clinico di Unobravo. E allora perché non provare a insistere sulle nostre capacità di gestire situazioni complesse? Si può fare, ripetendoci una frase come: «ho tanto lavoro da fare, ma organizzandomi sono in grado di gestire la mia giornata». Si passa così da un’attitudine disfattista a una più costruttiva e che ci infonde sicurezza.

Mi piace da morire

Nella lingua esistono degli elementi che tecnicamente si chiamano intensificatori: parole, in genere, che servono ad amplificare il significato di un concetto. In questa categoria rientra il «da morire», che se ci pensiamo bene è proprio curioso, soprattutto se accostato a concetti positivi. «Perché dobbiamo associare il piacere e la felicità alla morte e non alla vita?», si domanda per l’appunto Daniel Lumera, biologo naturalista e autore di molti libri sul benessere e sulla meditazione, fra cui il recente Ecologia Interiore (Mondadori). «Dovremmo piuttosto dire Mi piace da vivere o Sono felice da vivere. Il piacere e la felicità dovrebbero essere qualcosa che ci nutre e ci fa rinascere, non qualcosa che ci consuma e ci porta alla morte. La passione, quando è vera, crea nel cuore un fuoco che, bruciando, non consuma ma, mediante la luce, si alimenta e risplende».

Mi ha fatto arrabbiare

Forse vi starete domandando che male può farci questa frase. Ecco, non è così intuitivo, ma Lumera ci ricorda che con formule di questo tipo, «proiettiamo sugli altri il potere di creare in noi emozioni e reazioni. Ma questo potere è solo esclusivamente in noi stessi ed è necessario assumerci questa responsabilità. Non sono le persone o i luoghi a essere positivi o negativi. Le persone e i luoghi evidenziano quello che abbiamo dentro».

Le dimensioni sono fondamentali per procurare piacere

Passiamo infine al settore dell’intimità e del sesso con una frase che anche solo sottovoce riecheggia molto spesso. È un esempio di convinzione che conduce all’autosabotaggio nella sessualità maschile. «Eliminare queste frasi dal nostro vocabolario e quindi dalla nostra testa, potrebbe aiutare gli uomini a essere meno concentrati sulla lunghezza del loro pene e più interessati, invece, a capire “come” poter dare piacere alla o al partner. Tutta questa importanza attribuita alle dimensioni dei genitali provoca, fra gli uomini, molta ansia e anche una certa difficoltà nel mantenere un livello di eccitazione adeguato. Inoltre, dal punto di vista della coppia, un uomo troppo concentrato sulla sua anatomia può risultare un amante assente», ci spiega Luca Pierleoni presidente della Società Italiana di Sessuologia e Psicologia.

Fonte: news.google.com

Doroteo Cremonesi

Affascinato dal progresso, dalla tecnologia e dall'energia, amante delle automobili

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