Aveva ragione Antoine de Saint-Exupéry nell’affermare che un «solo lusso vero esiste ed è quello dei rapporti umani». Mai come in questi mesi di confinamento, infatti, stiamo prendendo coscienza che le relazioni umane – quelle vere, non virtuali – diventano sempre più un bene di lusso. Ora possiamo misurare la differenza tra emergenza e normalità. Se nell’emergenza, rinchiusi nelle nostre case, le videotelefonate, Facebook, Whatsapp e altri strumenti analoghi diventano l’unica forma di comunicazione per mantenere vivi i nostri rapporti, in tempi di normalità questi stessi strumenti possono rivelarsi pericolose fonti di illusione. È banale pensare che l’amicizia in un profilo social possa coincidere con un semplice clic. Così come chattare in rete non vuol dire coltivare affetti. Un rapporto autentico ha bisogno di legami vivi, veri, fisici.
La dipendenza dai dispositivi ha favorito progressivamente una preminenza del virtuale, a tal punto che è frequente vedere ragazzi seduti, l’uno a fianco all’altro, ognuno con la testa china sul proprio smartphone, ignorarsi senza scambiare una parola. Lo stesso discorso vale per gli utenti dei social network che pensano, nel chiuso di una stanza, di intrecciare relazioni attraverso un pc o un tablet: dietro una permanente connessione con gli altri si finisce per coltivare una nuova forma di terribile solitudine. Sarebbe inimmaginabile vivere senza internet o senza i telefoni. Ma la tecnologia, come un pharmakon, può guarire o intossicare: dipende dalle dosi! Sul New York Times, Nellie Bowles ha mostrato come negli Usa l’uso dei dispositivi stia diminuendo nelle famiglie ricche e aumentando nelle medie e povere. Le élite della Silicon Valley inviano i loro figli in scuole dove al posto della tecnologia si favoriscono i rapporti umani. Così, nel futuro, il lusso dell’interazione umana sarà destinato sempre più ai rampolli dei ricchi e il digitale-virtuale alla formazione dei meno abbienti?
11 aprile 2020, 20:03 – modifica il 11 aprile 2020 | 20:04
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