
L’Olimpiade invernale in Cina, la sostanziale uscita dalla pandemia, la sospensione (a causa di un conflitto armato) di un universalismo decisamente peculiare, il Mondiale in un Paese al centro di un gravissimo scandalo di corruzione, segnato da un sanguinoso e criticato processo di costruzione di strutture e infrastrutture e conclusosi con un’immagine decisamente evocativa: il 2022 dello sport internazionale si è rivelato assai rimarchevole, al punto da costringere a ripensare, in parte e se non altro almeno temporaneamente, alcune delle logiche che ne hanno caratterizzato le direzioni di sviluppo degli ultimi due decenni.
I Giochi di Pechino, lo scorso inverno, e la Coppa del Mondo in Qatar, tra novembre e dicembre 2022, hanno emblematicamente concluso una fase storica peculiare tanto per il CIO quanto per la FIFA, quella che ha visto spesso assegnare le principali manifestazioni sportive globali a Paesi in cui il livello di democrazia non è considerato sufficiente rispetto agli standard occidentali. In quindici anni, tra il 2008 e il 2022, il Comitato olimpico internazionale ha portato i Giochi due volte in Cina (2008 e 2022) e una in Russia (2014), mentre la Federazione delle confederazioni calcistiche ha portato il Mondiale in Russia (2018) e Qatar (2022), in quest’ultimo caso a seguito di un’assegnazione unica – come si è poi scoperto – tutt’altro che trasparente. Eventi, questi, che in tutti i casi si sono confermati vetrine rilevanti per la legittimazione dei governi agli occhi della comunità internazionale: sebbene non tutto sia sempre andato come previsto (avere la luce dei riflettori puntata costantemente addosso finisce anche per illuminare ciò che si vorrebbe rimanesse nascosto), tanto Vladimir Putin quanto Xi Jinping, passando per la famiglia al-Thani, si sono in questo senso giovati di un ritorno di immagine considerevole, tale da giustificare gli enormi investimenti economici con la funzionalità degli eventi rispetto alle strategie di conservazione del potere. Uno schema che, al di là del calcio, nel medesimo periodo preso in considerazione, ha portato anche la Formula 1, il Motomondiale e le federazioni di nuoto, atletica leggera e ciclismo a scegliere certi Paesi quali organizzatori delle loro manifestazioni apicali o come sponsor e partner, dunque quali finanziatori a cui essere grati.
Ecco, tutto questo è stato messo in qualche modo in discussione dal conflitto russo-ucraino che, dal 24 febbraio del 2022, ha impattato anche su uno sport che, tutto d’un tratto, si è trovato a dover fare i conti con le proprie scelte. La decisione della comunità internazionale di sanzionare la Russia (e la Bielorussa) per l’attacco a un Paese sovrano ha costretto lo sport, obtorto collo, ad agire di conseguenza, motivando l’esclusione di Nazionali e atleti, la rescissione unilaterale dei contratti con gli sponsor russi e la cancellazione di tutti gli eventi in programma all’interno di quei confini territoriali, con la violazione della tregua olimpica. Sebbene agire in un contesto di guerra non abbia rappresentato una novità per le istituzioni sportive, il conflitto russo-ucraino 2022 ha avuto in realtà caratteristiche geopolitiche inedite e tali da mettere in imbarazzo i decisori, al punto che si può parlare di sospensione dello sport globalizzato. Proprio il concetto di globalizzazione dello sport ha reso l’ostracismo, per quanto necessario, anche contraddittorio, perché lo sport non applica le medesime sanzioni per tutte le guerre del mondo, e allo stesso tempo ha evidenziato come sia un’illusione credere che accordi e scambi commerciali rendano lo sport qualcosa di super partes; al contrario, come lo sport usa la politica, la politica usa lo sport.
Ma il 2022 per il mondo dello sport ha significato anche il superamento della pandemia, dopo due anni nei quali l’emergenza sanitaria aveva prima bloccato ogni attività per diversi mesi, quindi imposto nuove regole e protocolli ai calendari che, dopo cancellazioni e posticipi, stavano riprendendo l’attività. Viene difficile sostenere oggi che lo sport abbia imparato qualcosa dall’ultimo biennio. Al di là di alcuni casi specifici – ad esempio i tornei che non permettono la presenza di atleti non vaccinati: si è distinto, tra gli irriducibili antivaccinisti, il tennista Novak Djokovic – il ritorno alla normalità ormai segue gli schemi pre-Covid, nel senso che gli sportivi hanno ripreso l’attività agonistica nelle condizioni sanitarie e di promiscuità già consuete in precedenza, mentre il pubblico è tornato in massa ad affollare i grandi eventi senza particolari restrizioni o cautele. Proprio in quest’ultimo contesto si sono manifestati nel calcio maggiori problemi di ordine pubblico rispetto al periodo pre-pandemico, quasi che i mesi di chiusura o di apertura parziale avessero suggerito di non prendere in considerazione, nella gestione degli eventi, la possibilità che gli spettatori si ripresentassero (specie le frange più turbolente) più esuberanti di prima, dopo essere stati tenuti a lungo ai margini.
Cosa aspettarsi dal 2023? L’anno che verrà si caratterizzerà per l’assenza in calendario degli eventi più iconici, e ciò darà il tempo alla diplomazia dello sport di cercare una sorta di normalizzazione per quanto concerne appunto le sanzioni nei confronti degli atleti russi, in attesa che la fine del conflitto consenta il reintegro delle Nazionali. Più lungo sarà il processo che prima o poi riporterà le grandi manifestazioni su suolo russo, ma in questo senso va tenuto conto che la programmazione delle prossime Olimpiadi e dei prossimi Mondiali di calcio è già stata definita e chiuderà, come detto, una fase per CIO e FIFA: di qui al 2032 sono in programma i Giochi estivi a Parigi (2024), Los Angeles (2028) e Brisbane, quelli invernali in Italia (Milano-Cortina 2026) e la Coppa del mondo tra Stati Uniti, Messico e Canada (2026); restano aperti i processi di assegnazione per le rassegne del 2030, ma per quanto riguarda le Olimpiadi invernali non sono presenti al momento candidature particolarmente esotiche (l’unica orientale è quella di Sapporo). Restano i Mondiali di calcio 2030, che vedono al momento tra le altre una singolare candidatura di tre Paesi (Egitto, Grecia, Arabia Saudita) di tre confederazioni diverse, l’unica nella quale fa capolino un Paese autocratico spesso sotto la lente in tema di diritti civili. L’Occidente riprenderà una certa centralità nello sport, almeno come hub organizzativo, sebbene dal punto di vista economico la forza dei fondi sovrani dell’area del Golfo resti inattaccabile e capace di squilibrare da sola l’intero mercato.
Ma il 2023 sarà anche un anno fondamentale per la gestione delle competizioni calcistiche europee: in primavera la Corte di giustizia dell’Unione Europea si esprimerà sulla questione pregiudiziale posta dal Tribunale commerciale di Madrid in merito al caso Superlega. Lo scorso 15 dicembre l’avvocato generale dell’organismo, Athanasios Rantos, ha presentato le proprie conclusioni in merito al dibattimento e ha di fatto sposato le tesi della UEFA sostenendo che il modello europeo attuale non viola le norme antitrust perché mira a conseguire obiettivi legittimi connessi alla specificità dello sport che le due istituzioni perseguono. Il parere dell’avvocatura generale è netto e inequivocabile, ma non è vincolante e non è scontato che poi la Corte ne confermi l’impianto, per quanto sia statisticamente probabile considerando i precedenti, e dopo tutto ciò che verrà deciso avrà effetti a cascata su tutto lo sport europeo. Ma il diritto non si fa con la statistica e, comunque, come ha ben chiarito la FIFA con la sua mossa non casualmente contestuale al parere di Rantos (annunciare un Mondiale per club a 32 squadre), in ballo c’è una lotta di potere tra enti – UEFA, FIFA, European Super League Company S.L. – ai quali non sfugge come la gallina dalle uova d’oro del calcio sia l’organizzazione e la produzione della principale manifestazione per club e vogliono, semplicemente, garantirsela, all’insegna di una sperequazione sempre più evidente non già tra l’élite e la base, ma tra l’élite e le classi intermedie.
Immagine: Da sinistra, Lionel Messi con il presidente francese Emmanuel Macron dopo la partita finale tra Argentina e Francia ai Mondiali di calcio in Qatar (18 dicembre 2022). Crediti: Salma Bashir Motiwala / Shutterstock.com
Fonte: news.google.com