Roma, 15 febbraio 2021 – Mercoledì mattina, al Senato, e il giorno dopo, in tandem, alla Camera. Saranno il 17 febbraio (Mario Draghi, si sa, non è scaramantico…) e il 18 i giorni della ‘fiducia’ per il Draghi I. Un appuntamento che sta per diventare ‘storico’. Mercoledì mattina il presidente del Consiglio alle 10 entrerà nell’Aula del Senato per il suo discorso e, dopo il dibattito, ci sarà la votazione. Alla Camera, invece, si voterà il giorno seguente, ma l’orario è ancora in via di definizione, con il discorso del premier che verrà, come si usa dire, ‘depositato’ alla Camera in quanto sarà stato dato in forma eguale al Senato.
Governo Draghi: ecco i nuovi ministri. La lista completa
Antonio Funiciello nuovo capo di gabinetto
Forza Italia perde tre deputati: ecco perché
La partita dei sottosegretari: la Boschi in pole
I nodi per il premier. Incontro Salvini-Zingaretti
Maggioranza schiacciante: il record di Draghi
Il governo di Mario Draghi, dunque, sta per diventare il più votato alle Camere della storia repubblicana. Se il premier otterrà, come è largamente previsto, il sostegno di Pd, Forza Italia, Iv, Leu e diversi gruppi minori, oltre a M5S e Lega, potrà godere di una maggioranza amplissima. Oltre 260 sì al Senato, che potrebbero diventare anche di più, fino a 290 voti, contando i senatori a vita e considerando che, tra i 30 ‘incerti’ e possibili scissionisti del M5S, una parte voterà sì. Anche alla Camera, il governo Draghi avrà numeri record. Sicuri almeno 568 voti alla Camera su 629 (qui gli incerti M5S sono 25/30) Draghi, almeno sulla carta, può arrivare a 583/593 voti, anche se va valutata meglio, come al Senato, l’entità della scissione che si produrrà dentro il Movimento.
Le pagelle di Casini: ecco vincitori e vinti
L’unica opposizione ‘vera’ sarà di Fratelli d’Italia
Dal centrodestra la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, conferma il no al sostegno al nuovo esecutivo da parte del suo gruppo, FdI, ma anche nella maggioranza del nuovo governo, da vari giorni, si aprono le prime crepe. La fiducia al governo Draghi sicuramente non verrà votata da FdI, dunque, che conta 33 deputati e 19 senatori. Questa posizione verrà proposta da Giorgia Meloni oggi agli organi del partito che dovrebbero farla propria. Anche dentro LeU uno o due deputati e uno o due senatori diranno il loro ‘no’. “Ho un solo un altro ultimo messaggio per lei, Presidente Draghi – dirà Giorgia Meloni, anche su ‘suggerimento’ del presidente di FdI, Guido Crosetto, dal passato liberale e una prima vita trascorsa prima dentro FI e poi nel Pdl -. Un messaggio che lei può capire meglio di ogni altra persona. Io, Fratelli d’Italia, i nostri gruppi parlamentari e tutte le persone che fuori da quest’aula hanno fiducia in noi: nell’ambito del nostro mandato, noi siamo disposti a fare qualunque cosa serva per salvare la democrazia. E mi creda, sarà abbastanza”. Un messaggio, dunque, che, in parte, vuole essere una ‘apertura di credito’ al nuovo governo.
La fronda degli ‘oltranzisti’ 5S di Di Battista
Ieri, però, si è consumata l’ennesima frattura all’interno del Movimento 5 Stelle: durante l’assemblea dei senatori e poi dei deputati in almeno quaranta (tra cui, in primis, la senatrice ed ex ministra Barbara Lezzi) hanno espresso la loro contrarietà alla decisione di Grillo e Di Maio di appoggiare Draghi: in almeno 40 voteranno no alla fiducia. La dirigenza dei 5Stelle sta lavorando per ridurre l’area del dissenso a una decina di deputati e al massimo a 20 senatori ma non è ancora detto che l’operazione di ‘recupero’ riesca. Inoltre, ieri sera, a intorbidare le acque, è arrivato anche l’appello di Davide Casaleggio a favore dell’astensione. Le voci dei dissidenti di M5s si sono fatte sentire anche fino ancora a domenica scorsa: la senatrice Barbara Lezzi ha ribadito il proprio ‘niet’ e la richiesta di una seconda votazione su Rousseau. A lei si sono uniti Mattia Crucioli, anch’egli senatore, e Pino Cabras, deputato. Alla Camera sono orientati al no Francesco Forciniti, Alvise Maniero e Raphael Raduzzi. Uno smottamento politico, oltre che numerico, del M5s, per esempio con la nascita di un soggetto di fuoriusciti che incalzi da destra l’ala ‘governista’, può mettere in difficoltà il Pd che vedrebbe scricchiolare la prospettiva di una alleanza con M5s e Leu.
Mega-scissione nei 5S e mini-scissione in LeU
Sempre ieri si è tenuta l’assemblea di Sinistra italiana (SI), formazione politica confluita, a livello parlamentare, dentro il gruppo di LeU (Liberi ed Uguali). Il segretario nazionale di SI, Nicola Fratoianni, ha fatto sapere di aver proposto “di non accordare la fiducia a questo governo”, ma, in questo ultimo caso, si tratta di una scissione davvero minimal. Nulla quaestio, infatti, per la sparuta pattuglia di SI, la componente di Nicola Fratoianni che si scinderà da LeU, votando no alla fiducia: alla Camera c’è il solo Fratoianni (ex esponente del Prc), che non sarà seguito dall’altro onorevole di LeU, Erasmo Palazzotto, giovane presidente della commissione d’inchiesta sull’omicidio Regeni. Al Senato, SI aveva solo la capogruppo, Loredana De Petris che però voterà sì, insieme a tutti gli esponenti di LeU, i quali militano, per la maggior parte, in Mdp-Articolo Uno, il movimento il cui segretario è, da anni, il ministro Speranza (ma i padri putativi Bersani e D’Alema). Invece, voteranno no due senatrici iscritte, oggi, a Leu (Paola Nugnes ed Elena Fattori), che però vengono dal M5s, come pure voteranno no tre ex pentastellati che si ritrovano sotto le bandiere di ‘Ital-Exit’, fondato da Gianluigi Paragone.
L’aritmetica è largamente a favore del governo
L’aritmetica è, dunque, dalla parte del governo di Draghi, tanto alla Camera quanto al Senato, nel voto di fiducia. Ma il possibile smottamento di una parte, più o meno consistente, del M5s rischia di diventare un nodo politico, anche per l’alleanza tra Pd, M5s e Leu su cui, in prospettiva, hanno puntato sia i dem che Liberi e Uguali. La dirigenza dei Cinque Stelle sta tuttavia lavorando per ridurre l’area del dissenso a una decina di deputati e circa 20 senatori. Per il nuovo esecutivo si prospettano di certo due assemblee “bulgare”, in termini aritmetici. Sul piano politico i partiti devono ancora metabolizzare lo stare insieme ai propri avversari storici. Inoltre, un Movimento incalzato dall’esterno dall’area che si è legata a Di Battista, oggi fuori dal Parlamento, avrebbe difficoltà alle amministrative a correre insieme ai dem in alcune città, dove invece una alleanza potrebbe risultare vincente o solo competitiva. In più Matteo Salvini ha mostrato di voler continuare ad essere “di lotta e di governo” e, per frenarlo, al Pd serve un asse solido con l’M5s. La dirigenza di M5s, da Vito Crimi a Luigi Di Maio, ha aperto un canale di dialogo coi dissidenti sul cosiddetto ‘lodo Brescia’, dal nome del presidente della I commissione alla Camera, Giuseppe Brescia, il quale ha fatto notare come si possa incidere sulle scelte del governo più come voce critica all’interno del Movimento che non fuori dalla maggioranza di governo. Martedì 16, infine, si voterà su Rousseau sulla nuova governance del Movimento che prevede un direttorio di 5 persone, entro cui potrebbe trovare posto la voce della minoranza, che avrebbe dunque garanzie interne. L’obiettivo è di ridurre da 40 a non più di 20 il numero dei senatori dissidenti (sui 92 complessivi) e a una decina quelli a Montecitorio (su 190). A perorare la causa del sì al governo è stato, di nuovo, Beppe Grillo. In un post ha raffigurato Draghi con sotto la scritta “Now the environment. Whatever it takes”. Traduzione: “Ora l’ambiente, a qualsiasi costo”. Davide Casaleggio ha invece invitato “chi è a disagio” ad astenersi, evitando il ‘no’ alla fiducia, così da “non spaccare i gruppi parlamentari” e a non contraddire il responso della sua creatura, Rousseau.
I precedenti: maggioranze altrettanto ‘storiche’
Dal punto di vista politico e istituzionale il governo Draghi è già un unicuum, nella storia repubblicana, ma sta per diventarlo anche rispetto ai ‘numeri’ della sua maggioranza. Certo, è vero che nella storia d’Italia, vi sono stati vari casi di governi votati da larghe, se non unanimi, maggioranze. I governi De Gasperi II, III e IV, del 1945-1947, per esempio, erano appoggiati dalle sinistre social-comuniste, dai partiti laici di centro e dalla Dc. I governi di solidarietà nazionale del 1976-1979, si reggevano sul voto, in quel caso, però, di astensione, dell’intero arco costituzionale (dalla Dc al Pci, passando per il Psi, il Psdi, il Pri e altri). I governi tecnici o tecnico-istituzionali guidati da Ciampi (1992-1993), Dini (1995-1996) e Monti (2012-2014) si sono basati su maggioranze larghe e molto ampie. Con Ciampi dal vecchio pentapartito fino al Pds, Rete e i Verdi; con Dini da Forza Italia al Pds, passando per il PPI e altri; con Monti vedendo insieme Pdl-Udc-Pd più altri minori). Ma, in tutti questi casi, i voti delle varie maggioranze citate, per un motivo o per l’altro (astensioni, defezioni, etc.), non superavano i 400 voti di media alla Camera e i 250 voti di media al Senato. Con Draghi, invece, lo scenario è inedito e tende a rappresentare un unicum nella storia repubblicana.
Il precedente del governo più votato è Monti
Da ricordare, infine, che l’ultimo governo ‘tecnico’ della storia repubblica, quello guidato da Mario Monti, ottenne la fiducia al Senato con 281 voti favorevoli, mentre alla Camera ebbe 556 voti favorevoli. In passato, il governo più votato finora è sempre quello di Mario Monti, altro tecnico arrivato a Palazzo Chigi nel 2011 dopo la crisi economica che portò lo spread a 500 punti (ora siamo sotto i 100). Il governo Draghi batterà, dunque, anche questo ‘record’.
© Riproduzione riservata
1/23

Luciana Lamorgese (Interno)
È una delle conferme dal governo precedente: l’ex prefetto di Milano, 67 anni, nata a Potenza, resta al Viminale dove aveva sostituito Matteo Salvini. A fine 2020, tra le altre cose, il suo ministero aveva archiviato proprio i decreti Salvini sulla sicurezza.
2/23

Marta Cartabia (Giustizia)
Nata nel 1963 a San Giorgio su Legnano (Milano), è stata la prima donna a occupare la carica di presidente della Corte Costituzionale, dall’11 dicembre 2019 al 13 settembre 2020. È cattolica e considerata vicina al movimento Comunione e Liberazione.
3/23

Daniele Franco (Economia)
Daniele Franco, bellunese classe 1953, è il super tecnico per l’Economia. Due le grandi esperienze della sua carriera: la prima in Bankitalia dove si è occupato della finanza pubblica, la seconda lunga sette anni, da Ragioniere generale dello Stato
4/23

Luigi Di Maio (Esteri)
Nato ad Avellino nel 1986, nonostante la giovane età ha un curriculum politico corposo. Già leader del Movimento 5 Stelle, vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo nel Conte I, ministro degli Esteri nel Conte II e ora riconfermato alla Farnesina
5/23

Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico)
È uno dei nomi più pesanti nella compagine di governo: già sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte I, numero due della Lega, il 54enne Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia (Varese) va allo Sviluppo economico, tra i dicasteri più strategici.
6/23

Stefano Patuanelli (Agricoltura)
Esponente dell’ala governista dei 5 Stelle e ministro uscente dello Sviluppo, l’ingegnere 46enne triestino Stefano Patuanelli va a occupare la casella dell’Agricoltura. Per un anno è stato anche capogruppo del Movimento a Palazzo Madama.
7/23

Roberto Cingolani (Transizione)
Il fisico milanese, classe 1961, è stato scelto per la casella di cui più si è parlato in questi giorni. Responsabile dell’innovazione tecnologica di Leonardo, è stato direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, da lui fondato nel 2005.
8/23

Federico D’incà (Rapporti con il Parlamento)
Il 45enne bellunese Federico D’Incà, esponente dell’ala governista del Movimento 5 Stelle, è uno dei riconfermati nel proprio ruolo. Sarà ancora lui il ministro per i Rapporti con il Parlamento, ruolo delicatissimo in un governo così variegato
9/23

Vittorio Colao (Innovazione tecnologica)
Volto nuovo nel governo, ma non così nuovo alle cronache recenti della politica: il bresciano Vittorio Colao, 59 anni, manager molto apprezzato, guiderà l’Innovazione, ma nel 2020 era stato messo a capo della (fallimentare) task force per la ’fase 2′.
10/23

Roberto Speranza (Salute)
Nato a Potenza, ha 42 anni ed è l’unico rappresentante di Leu nel governo. Vicinissimo a Bersani, è in Parlamento dal 2013. È una delle conferme più pesanti: ha guidato la Salute nell’anno della pandemia e lo farà anche nel governo Draghi
11/23

Andrea Orlando (Lavoro)
Lo spezzino Andrea Orlando diventa ministro del Lavoro a 52 anni appena compiuti. Già all’Ambiente e alla Giustizia in precedenti governi di centrosinistra, tra i membri politici dell’esecutivo Draghi è forse il ’più politico’, essendo vicesegretario del Pd.
12/23

Patrizio Bianchi (Istruzione)
Patrizio Bianchi è nato a Copparo (Ferrara) nel 1952. Insegna Politiche economiche dell’Ue all’Università di Ferrara (di cui è stato rettore). È stato anche assessore regionale dell’Emilia-Romagna. Già a capo della task force per la riapertura delle scuole a settembre, sostituirà Lucia Azzolina
13/23

Enrico Giovannini (Infrastrutture)
Più volte il suo nome è stato inserito nei toto-premier o nei toto-ministri: ora lo stattistico Enrico Giovannini, romano di 63 anni, già presidente Istat e ministro del Lavoro con Enrico Letta, guiderà il dicastero strategico delle Infrastrutture e Trasporti
14/23

Dario Franceschini (Cultura)
Il 62enne ferrarese Dario Franceschini, già segretario del Pd nel 2009 e più volte ministro dei Beni culturali (con Renzi, Gentiloni, nel Conte I), si riconferma alla guida del dicastero. Ma con lo scorporo deciso da Draghi, non avrà più le deleghe al Turismo.
15/23

Renato Brunetta (PA)
Veneziano, classe 1950, pezzo da novanta di Forza Italia, Renato Brunetta è uno dei ritorni eccellenti. Tra il 2008 e il 2011, nell’ultimo governo Berlusconi, ha già ricoperto il ruolo di ministro della Pubblica amministrazione. È stato anche capogruppo di FI alla Camera.
16/23

Mariastella Gelmini (Autonomie)
Già ministro dell’Istruzione e dell’Università nell’ultimo governo Berlusconi, la bresciana Mariastella Gelmini, 47 anni, attuale capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, torna in un ruolo di governo: sarà ministro agli Affari regionali e alle Autonomie.
17/23

Mara Carfagna (Sud)
È uno dei pochi ministri del Sud e si occuperà proprio del Mezzogiorno: la salernitana Mara Carfagna, 45 anni, già ministro delle Pari opportunità nel Berlusconi IV e attuale vicepresidente della Camera, è a capo dell’associazione Voce Libera dentro FI.
18/23

Elena Bonetti (Pario opportunità)
Esattamente un mese fa il suo abbandono (con l’altra renziana Bellanova) del Conte II aprì formalmente la crisi. Ora Elena Bonetti, mantovana, 46 anni, professoressa di matematica all’Università di Milano, si riprende la Famiglia e le Pari opportunità.
19/23

Fabiana Dadone (Politiche giovanili)
È uno dei ’sopravvissuti’ alla caduta di Conte, ma cambia decisamente ruolo la 37enne cuneese Fabiana Dadone. Attualmente nel collegio dei probiviri del Movimento 5 Stelle, passa dalla Pubblica amministrazione alle Politiche giovanili
20/23

Cristina Messa (Università)
Cristina Messa, nata a Monza nel 1961, già rettore dell’Università di Milano Bicocca, dove insegna alla facoltà di Medicina. Attualmente presidente della Fondazione Tecnomed, sempre alla Bicocca. A lei tocca il ministero dell’Università e della Ricerca
21/23

Erika Stefani (Disabilità)
Erika Stefani, 49 anni, leghista vicentina, non è alla prima esperienza di governo: la coalizione giallo-verde l’aveva scelta per Affari regionali e Autonomie. Ora Draghi l’ha designata per il nuovo ministero per le Disabilità, chiesto a gran voce dalla Lega.
22/23

Lorenzo Guerini (Difesa)
Un’altra riconferma, un altro politico: Lorenzo Guerini, lodigiano, 54 anni, è già stato ministro della Difesa nel governo Conte II, e Draghi l’ha riconfermato. In passato è stato portavoce, vicesegretario e coordinatore del Partito democratico
23/23

Massimo Garavaglia (Turismo)
Il leghista milanese Massimo Garavaglia, 52 anni, è stato sottosegretario e viceministro all’Economia nel governo Conte I. Draghi gli ha assegnato la delega (con portafoglio) al Turismo, scorporato dal Mibact guidato da Franceschini
Fonte: news.google.com